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aprile 1798
Paolo I istituisce 6 vescovadi latini e tre uniti,
dipendenti dalla metropolia di Mogilev, istituita pochi
decenni prima dalla madre Caterina. La politica dello zar
e', comunque, quella di tentare di assoggettare
completamente alla politica statale anche la Chiesa
cattolica (sia latina che greca), come gia' avvenuto per
quella ortodossa. Quest 'ultima, infatti, dal 1700, per
decisione di Pietro I, non aveva piu' il patriarca, ma era
governata da un Sinodo con a capo un procuratore di nomina
imperiale, diventando di fatto una sorta di ministero
statale. Nel febbraio 1829 Nicola I decide di annientare la
Chiesa unita (1.500.000 fedeli con 2.000 sacerdoti e 600
monaci) integrandola in quella ortodossa. Migliore
condizione godono gli uniti nei territori dell'impero
austro-ungarico. Nel 1807 Pio VII ne riorganizza la
gerarchia: metropoli di L'vov e sedi vescovili di Przemysl'
e Chelm. Nel 1840 questa Chiesa conta circa due milioni di
fedeli.
Alla fine del 1800 si assiste in Russia a una ripresa
di interesse verso il cattolicesimo unito non tanto a
livello quantitativo, ma qualitativo (rilevante, a questo
proposito, l'influsso intellettuale di Solov'ev); nascono a
San Pietroburgo e Mosca piccole comunita' di rito
bizantino-slavo, che Pio X pone nel 1910 sotto la
giurisdizione del metropolita di L'vov Andrej Szeptickij.
Dopo il parziale editto di tolleranza religiosa del 1905, un
vero spazio di liberta' per i cattolici russi di rito
orientale (come anche per i latini) si ha solo dopo la
rivoluzione del febbraio 1917. Nel giugno 1917 i cattolici
uniti russi celebrano un sinodo e Leonid Fedorov viene
nominato esarca (Cfr. Aleksej Judin, Leonid Fedorov,
La Casa di Matriona, Milano 1999). Va segnalata in questo
periodo anche una forte presenza di uniti emigrati negli
Stati Uniti (circa 200.000); essi non hanno propri pastori e
non sono ben visti dalle autorita' cattoliche di rito
latino, soprattutto per la questione dei sacerdoti sposati.
A questo problema provvede Pio X, nel 1907: nomina un
vescovo per questi fedeli, sottoponendolo alla diretta
giurisdizione della Santa Sede. Lo stesso avviene nel 1913
per gli uniti emigrati in Canada. Ogni promettente
espansione del cattolicesimo di rito orientale in Russia e'
spezzata dalla violenta persecuzione antireligiosa dei
bolscevichi, saliti al potere nell'ottobre 1917 (per seguire
le tappe di questa persecuzione si veda Irina Osipova, Se
il mondo vi odia..., La Casa di Matriona, Milano 1997,
pp. 33-84).
1923
La Galizia, che era rimasta l'unica regione dove la
Chiesa greco-cattolica potesse vivere liberamente, passa
alla Polonia, mentre il resto dell'Ucraina, dopo alterne
vicende legate prima alla guerra mondiale e poi a quella
civile, diventa territorio dell'Unione Sovietica.
1939
In forza del trattato Molotov-Ribbentrop la Galizia
viene annessa all'URSS e, precisamente, alla Repubblica
Socialista di Ucraina. Dopo numerosi cambi di fronte durante
la seconda guerra mondiale, il possesso sovietico su questi
territori si consolida definitivamente alla fine del 1944.

Il
metropolita Andrej Szeptyckij.
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Ucraina,
anni '30: soldati dell'Armata Rossa requisiscono le
suppellettili religiose delle
chiese.
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1946
Concilio di L'vov. Come noto, durante lo
svolgersi della seconda guerra mondiale, Stalin
allenta la sua pressione sui credenti; ad esempio
permette la ricostituzione del Patriarcato a Mosca
(1943) e ai funerali del metropolita
greco-cattolico Andrej Szeptyckij, svoltisi il
1° novembre 1944 alla presenza del segretario
del partito ucraino Chruscev, invia addirittura una
corona di fiori. Alla fine del conflitto, pero',
Stalin riprende la propria politica antireligiosa
e, per quanto interessa la nostra ricerca, decide
di "liquidare" la Chiesa greco-cattolica,
considerata "alleata del Vaticano" cioe' di una
potenza nemica.
Il sistema individuato per questa liquidazione e'
il forzato rientro dei cattolici uniti nel seno
della Chiesa ortodossa. Con la collaborazione di
tre sacerdoti conniventi (Gavriil Kostel'nik,
Michail Mel'nik e Antonij Pel'veckij), viene
convocato un "concilio" dall'8 al 10 marzo 1946 a
L'vov. In esso si decide: 1) di "annullare le
decisioni del concilio di Brest del 1596, di
abolire l'unione, annullare la dipendenza da Roma e
far ritorno... alla santa fede ortodossa dei padri
e alla Chiesa ortodossa russa": 2) di "chiedere al
santissimo Patriarca di Mosca e di tutta la Rus' di
accogliere la Chiesa greco-cattolica nel grembo
della Chiesa ortodossa russa"; 3) di distaccarsi
dal Vaticano che "si era posto totalmente dalla
parte del fascismo sanguinario e si era schierato
contro l'Unione Sovietica, la quale... ha salvato
il nostro popolo ucraino dalla schiavitu' e dalla
distruzione". Non c'e' ombra di dubbio che questo
concilio e' anticanonico in quanto non vi partecipa
nessun vescovo e solo un sesto dei 1.270 sacerdoti.
Tuttavia e' sufficiente a innescare una dura
persecuzione contro i credenti che non ne accettano
le deliberazioni. Col pretesto di dare esecuzione
alle decisioni del concilio di L'vov, nei tre anni
successivi (1946-1949) si attua la distruzione
completa della Chiesa cattolica di rito orientale
sul territorio dell'URSS. I vescovi sono arrestati
e tutte le mansioni episcopali vengono assunte da
creature del Patriarcato di Mosca; il clero in
parte abiura il cattolicesimo, in parte e'
imprigionato e in parte entra nella clandestinita';
tutte le chiese dei cattolici (circa 3000, che non
erano mai storicamente appartenute al Patriarcato
di Mosca) sono assegnate alla Chiesa ortodossa
russa. I credenti - nel 1943 erano circa 4 milioni
- in parte cominciano a frequentare le chiese
ortodosse (che erano le stesse frequentate prima e
vi si celebravano fondamentalmente gli stessi riti,
magari con gli stessi sacerdoti); una parte piu'
cospicua rifiuta la nuova situazione e continua a
vivere e a trasmettere la propria fede cattolica in
clandestinita' per oltre quarant'anni.
Lo
pseudo-concilio di L'vov. Al centro, l'arciprete
Kostel'nik; i vescovi ortodossi Antonij
(Pel'veckij) a sinistra e, a destra, Michail
(Mel'nik).
Nel
1963 viene liberato il capo dei cattolici
uniti, il metropolita Josyf Slipyj, cui viene dato
il permesso di lasciare l'URSS (si reca a Roma,
dove successivamente e' creato cardinale da Paolo
VI). Nel contempo, pero', continuano e si
intensificano le persecuzioni contro sacerdoti e
credenti clandestini. Tali persecuzioni proseguono
fino al termine degli anni Ottanta. Non si puo'
nascondere il fatto che la Chiesa ortodossa di
Mosca fa spesso da controcanto alle persecuzioni,
ostinandosi ad affermare che il concilio di L'vov
era stato perfettamente legittimo, giustificato e
libero, un vero e proprio "trionfo dell'ortodossia"
(cosi' si esprime nel 1966, tra i tanti, l'allora
arcivescovo di Tallinn e attuale patriarca
Aleksij). In occasione delle celebrazioni del
quarantesimo anniversario del concilio di L'vov
(1986), il patriarca Pimen scrive solennemente che
"all'unione si e' detto basta una volta per tutte e
non potra' far ritorno in terra ucraina" (sara'
smentito nel giro di pochi anni).
Giovanni
XXIII a colloquio con il metropolita Josyf
Slipyj.
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