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<< Storia della Chiesa greco-cattolica-1

28 aprile 1798
Paolo I istituisce 6 vescovadi latini e tre uniti, dipendenti dalla metropolia di Mogilev, istituita pochi decenni prima dalla madre Caterina. La politica dello zar e', comunque, quella di tentare di assoggettare completamente alla politica statale anche la Chiesa cattolica (sia latina che greca), come gia' avvenuto per quella ortodossa. Quest 'ultima, infatti, dal 1700, per decisione di Pietro I, non aveva piu' il patriarca, ma era governata da un Sinodo con a capo un procuratore di nomina imperiale, diventando di fatto una sorta di ministero statale. Nel febbraio 1829 Nicola I decide di annientare la Chiesa unita (1.500.000 fedeli con 2.000 sacerdoti e 600 monaci) integrandola in quella ortodossa. Migliore condizione godono gli uniti nei territori dell'impero austro-ungarico. Nel 1807 Pio VII ne riorganizza la gerarchia: metropoli di L'vov e sedi vescovili di Przemysl' e Chelm. Nel 1840 questa Chiesa conta circa due milioni di fedeli.
Alla fine del 1800 si assiste in Russia a una ripresa di interesse verso il cattolicesimo unito non tanto a livello quantitativo, ma qualitativo (rilevante, a questo proposito, l'influsso intellettuale di Solov'ev); nascono a San Pietroburgo e Mosca piccole comunita' di rito bizantino-slavo, che Pio X pone nel 1910 sotto la giurisdizione del metropolita di L'vov Andrej Szeptickij. Dopo il parziale editto di tolleranza religiosa del 1905, un vero spazio di liberta' per i cattolici russi di rito orientale (come anche per i latini) si ha solo dopo la rivoluzione del febbraio 1917. Nel giugno 1917 i cattolici uniti russi celebrano un sinodo e Leonid Fedorov viene nominato esarca (Cfr. Aleksej Judin, Leonid Fedorov, La Casa di Matriona, Milano 1999). Va segnalata in questo periodo anche una forte presenza di uniti emigrati negli Stati Uniti (circa 200.000); essi non hanno propri pastori e non sono ben visti dalle autorita' cattoliche di rito latino, soprattutto per la questione dei sacerdoti sposati. A questo problema provvede Pio X, nel 1907: nomina un vescovo per questi fedeli, sottoponendolo alla diretta giurisdizione della Santa Sede. Lo stesso avviene nel 1913 per gli uniti emigrati in Canada. Ogni promettente espansione del cattolicesimo di rito orientale in Russia e' spezzata dalla violenta persecuzione antireligiosa dei bolscevichi, saliti al potere nell'ottobre 1917 (per seguire le tappe di questa persecuzione si veda Irina Osipova, Se il mondo vi odia..., La Casa di Matriona, Milano 1997, pp. 33-84).
1923
La Galizia, che era rimasta l'unica regione dove la Chiesa greco-cattolica potesse vivere liberamente, passa alla Polonia, mentre il resto dell'Ucraina, dopo alterne vicende legate prima alla guerra mondiale e poi a quella civile, diventa territorio dell'Unione Sovietica.
1939
In forza del trattato Molotov-Ribbentrop la Galizia viene annessa all'URSS e, precisamente, alla Repubblica Socialista di Ucraina. Dopo numerosi cambi di fronte durante la seconda guerra mondiale, il possesso sovietico su questi territori si consolida definitivamente alla fine del 1944.


Il metropolita Andrej Szeptyckij.

Ucraina, anni '30: soldati dell'Armata Rossa requisiscono le suppellettili religiose delle chiese.

1946
Concilio di L'vov. Come noto, durante lo svolgersi della seconda guerra mondiale, Stalin allenta la sua pressione sui credenti; ad esempio permette la ricostituzione del Patriarcato a Mosca (1943) e ai funerali del metropolita greco-cattolico Andrej Szeptyckij, svoltisi il 1° novembre 1944 alla presenza del segretario del partito ucraino Chruscev, invia addirittura una corona di fiori. Alla fine del conflitto, pero', Stalin riprende la propria politica antireligiosa e, per quanto interessa la nostra ricerca, decide di "liquidare" la Chiesa greco-cattolica, considerata "alleata del Vaticano" cioe' di una potenza nemica.
Il sistema individuato per questa liquidazione e' il forzato rientro dei cattolici uniti nel seno della Chiesa ortodossa. Con la collaborazione di tre sacerdoti conniventi (Gavriil Kostel'nik, Michail Mel'nik e Antonij Pel'veckij), viene convocato un "concilio" dall'8 al 10 marzo 1946 a L'vov. In esso si decide: 1) di "annullare le decisioni del concilio di Brest del 1596, di abolire l'unione, annullare la dipendenza da Roma e far ritorno... alla santa fede ortodossa dei padri e alla Chiesa ortodossa russa": 2) di "chiedere al santissimo Patriarca di Mosca e di tutta la Rus' di accogliere la Chiesa greco-cattolica nel grembo della Chiesa ortodossa russa"; 3) di distaccarsi dal Vaticano che "si era posto totalmente dalla parte del fascismo sanguinario e si era schierato contro l'Unione Sovietica, la quale... ha salvato il nostro popolo ucraino dalla schiavitu' e dalla distruzione". Non c'e' ombra di dubbio che questo concilio e' anticanonico in quanto non vi partecipa nessun vescovo e solo un sesto dei 1.270 sacerdoti. Tuttavia e' sufficiente a innescare una dura persecuzione contro i credenti che non ne accettano le deliberazioni. Col pretesto di dare esecuzione alle decisioni del concilio di L'vov, nei tre anni successivi (1946-1949) si attua la distruzione completa della Chiesa cattolica di rito orientale sul territorio dell'URSS. I vescovi sono arrestati e tutte le mansioni episcopali vengono assunte da creature del Patriarcato di Mosca; il clero in parte abiura il cattolicesimo, in parte e' imprigionato e in parte entra nella clandestinita'; tutte le chiese dei cattolici (circa 3000, che non erano mai storicamente appartenute al Patriarcato di Mosca) sono assegnate alla Chiesa ortodossa russa. I credenti - nel 1943 erano circa 4 milioni - in parte cominciano a frequentare le chiese ortodosse (che erano le stesse frequentate prima e vi si celebravano fondamentalmente gli stessi riti, magari con gli stessi sacerdoti); una parte piu' cospicua rifiuta la nuova situazione e continua a vivere e a trasmettere la propria fede cattolica in clandestinita' per oltre quarant'anni.

Lo pseudo-concilio di L'vov. Al centro, l'arciprete Kostel'nik; i vescovi ortodossi Antonij (Pel'veckij) a sinistra e, a destra, Michail (Mel'nik).

Nel 1963 viene liberato il capo dei cattolici uniti, il metropolita Josyf Slipyj, cui viene dato il permesso di lasciare l'URSS (si reca a Roma, dove successivamente e' creato cardinale da Paolo VI). Nel contempo, pero', continuano e si intensificano le persecuzioni contro sacerdoti e credenti clandestini. Tali persecuzioni proseguono fino al termine degli anni Ottanta. Non si puo' nascondere il fatto che la Chiesa ortodossa di Mosca fa spesso da controcanto alle persecuzioni, ostinandosi ad affermare che il concilio di L'vov era stato perfettamente legittimo, giustificato e libero, un vero e proprio "trionfo dell'ortodossia" (cosi' si esprime nel 1966, tra i tanti, l'allora arcivescovo di Tallinn e attuale patriarca Aleksij). In occasione delle celebrazioni del quarantesimo anniversario del concilio di L'vov (1986), il patriarca Pimen scrive solennemente che "all'unione si e' detto basta una volta per tutte e non potra' far ritorno in terra ucraina" (sara' smentito nel giro di pochi anni).

Giovanni XXIII a colloquio con il metropolita Josyf Slipyj.

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